Dani Reyes-Acosta ha raccontato lei stessa l’increscioso episodio.
Era fine Marzo e lei intenta a lavorare all’interno del suo camper puro, un Ford E-250 del 1995, parcheggiata regolarmente sul lato di una strada nell’Idaho orientale, quando ha sentito una autovettura sopraggiungere. Il tempo di alzare lo sguardo per vedere il conducente che le urla: “Vai a casa“.
“E ‘stato spaventoso, soprattutto perché sono una donna sola. Ma questo è il dilemma morale che stiamo tutti affrontando in questo momento: viaggiamo per trovare un posto in cui trascorrere in sicurezza il periodo dell’emergenza oppure restiamo fermi lì dove ci troviamo in quel momento?” è la domanda che si pone Reyes-Acosta e che è stata pubblicata in un articolo di Heather Balogh Rochfort e pubblicato venerdì 10 aprile sull’Independent.
Reyes-Acosta fa parte della comunità di chi vive in furgonati, un segmento che ha avuto un forte sviluppo in tutto il mondo negli anni ’60 del secolo scorso per poi scomparire negli anni ’80 e che ora sta tornando di moda, ovvero quello di persone che vendono tutti i propri effetti personali per eleggere a propria dimora un furgone allestito, talvolta malamente, ovvero con un semplice materasso buttato nel vano di carico, più spesso utilizzando comunque un furgone ma allestito di tutto punto.
Attualmente l’hashtag #vanlife, regolarmente depositato, ha più di 6,8 milioni di post su Instagram e quasi quattro volte tanto su Facebook.
Dunque i Van-lifers optano per questo stile di vita all’insegna della semplicità, del minimalismo e della libertà.
Molti si domandano come si riesca a coniugare passione per il viaggio con la vita quotidiana visto che, conti alla mano, vivere in modo dignitoso in questo modo è più costoso che vivere stabilmente in una casa.
La risposta non è semplice ma articolata, dati che alcuni banalmente viaggiano e basta, perché se lo possono permettere, magari per un anno sabbatico o perché hanno una pensione o una piccola rendita; altri lavorano a distanza, così da far diventare possibile il farlo ovunque essi si trovino; alcuni ancora accettano lavori temporanei nelle città in cui giungono durante il loro vagare.
Essendo vietata la sosta libera nella maggioranza delle nazioni al mondo, di norma, sostano in campeggi o in aree di sosta, più raramente in parchi nazionali di montagna.
Questa idilliaca cartolina, oggi deve fare i conti con una realtà ben diversa. Aziende come Roamerica Campervan Rentals, specializzata nel noleggio a lungo termine proprio a chi utilizza il camper puro per viverci, ha sospeso i servizi commerciali, nel tentativo di frenare i viaggi, rimborsando tutte le spese di prenotazione e, di fatto posticipando qualunque attività a dopo Aprile.
Quindi se si riesce in gran parte ad arginare il fenomeno dei nuovi adepti della specialità, coloro che già utilizzano questo stile di vita si trovano ad affrontare disagi veramente importanti, poiché gli Stati emettono ordini di restrizione alla libera circolazione, all’insegna di slogan come “io resto a casa” ma le comunità locali iniziano a risentirsi della presenza di estranei, siano essi camperisti che risiedono permanentemente nei loro veicoli ricreazionali, escursionisti o proprietari di case vacanza.
Di regola, basta che i camperisti residenti nei loro mezzi informino la polizia locale della loro presenza in un determinato luogo e non si spostino fino a nuovo ordine, ma la cosa diventa comunque di difficile gestione perché non esiste alcun tipo di insegna o altro che rende evidente il fatto che si tratta del camper in cui si vive e non di semplici turisti scriteriati, quindi si sta registrando, ovunque nel mondo, un aumento esponenziale di attacchi verbali contro di essi, come quello registrato negli Usa dalla signora Dani Reyes-Acosta e che non è un episodio isolato ma purtroppo comunque anche in Europa.
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vivere in un camper ai tempi dell’emergenza sanitaria
Dani Reyes-Acosta ha raccontato lei stessa l’increscioso episodio.
Era fine Marzo e lei intenta a lavorare all’interno del suo camper puro, un Ford E-250 del 1995, parcheggiata regolarmente sul lato di una strada nell’Idaho orientale, quando ha sentito una autovettura sopraggiungere. Il tempo di alzare lo sguardo per vedere il conducente che le urla: “Vai a casa“.
“E ‘stato spaventoso, soprattutto perché sono una donna sola. Ma questo è il dilemma morale che stiamo tutti affrontando in questo momento: viaggiamo per trovare un posto in cui trascorrere in sicurezza il periodo dell’emergenza oppure restiamo fermi lì dove ci troviamo in quel momento?” è la domanda che si pone Reyes-Acosta e che è stata pubblicata in un articolo di Heather Balogh Rochfort e pubblicato venerdì 10 aprile sull’Independent.
Reyes-Acosta fa parte della comunità di chi vive in furgonati, un segmento che ha avuto un forte sviluppo in tutto il mondo negli anni ’60 del secolo scorso per poi scomparire negli anni ’80 e che ora sta tornando di moda, ovvero quello di persone che vendono tutti i propri effetti personali per eleggere a propria dimora un furgone allestito, talvolta malamente, ovvero con un semplice materasso buttato nel vano di carico, più spesso utilizzando comunque un furgone ma allestito di tutto punto.
Attualmente l’hashtag #vanlife, regolarmente depositato, ha più di 6,8 milioni di post su Instagram e quasi quattro volte tanto su Facebook.
Dunque i Van-lifers optano per questo stile di vita all’insegna della semplicità, del minimalismo e della libertà.
Molti si domandano come si riesca a coniugare passione per il viaggio con la vita quotidiana visto che, conti alla mano, vivere in modo dignitoso in questo modo è più costoso che vivere stabilmente in una casa.
La risposta non è semplice ma articolata, dati che alcuni banalmente viaggiano e basta, perché se lo possono permettere, magari per un anno sabbatico o perché hanno una pensione o una piccola rendita; altri lavorano a distanza, così da far diventare possibile il farlo ovunque essi si trovino; alcuni ancora accettano lavori temporanei nelle città in cui giungono durante il loro vagare.
Essendo vietata la sosta libera nella maggioranza delle nazioni al mondo, di norma, sostano in campeggi o in aree di sosta, più raramente in parchi nazionali di montagna.
Questa idilliaca cartolina, oggi deve fare i conti con una realtà ben diversa. Aziende come Roamerica Campervan Rentals, specializzata nel noleggio a lungo termine proprio a chi utilizza il camper puro per viverci, ha sospeso i servizi commerciali, nel tentativo di frenare i viaggi, rimborsando tutte le spese di prenotazione e, di fatto posticipando qualunque attività a dopo Aprile.
Quindi se si riesce in gran parte ad arginare il fenomeno dei nuovi adepti della specialità, coloro che già utilizzano questo stile di vita si trovano ad affrontare disagi veramente importanti, poiché gli Stati emettono ordini di restrizione alla libera circolazione, all’insegna di slogan come “io resto a casa” ma le comunità locali iniziano a risentirsi della presenza di estranei, siano essi camperisti che risiedono permanentemente nei loro veicoli ricreazionali, escursionisti o proprietari di case vacanza.
Di regola, basta che i camperisti residenti nei loro mezzi informino la polizia locale della loro presenza in un determinato luogo e non si spostino fino a nuovo ordine, ma la cosa diventa comunque di difficile gestione perché non esiste alcun tipo di insegna o altro che rende evidente il fatto che si tratta del camper in cui si vive e non di semplici turisti scriteriati, quindi si sta registrando, ovunque nel mondo, un aumento esponenziale di attacchi verbali contro di essi, come quello registrato negli Usa dalla signora Dani Reyes-Acosta e che non è un episodio isolato ma purtroppo comunque anche in Europa.
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